Il Decreto Legislativo n. 231 del 2001
Con il Decreto Legislativo 8 giugno 2001 n. 231, emanato in attuazione della delega conferita al Governo con l’art. 11 della Legge 29 settembre 2000, n. 300(1), recante la disciplina della “Responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato”, si è inteso adeguare, in materia di responsabilità delle persone giuridiche, la normativa italiana alle Convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia, in particolare la Convenzione di Bruxelles del 26 luglio 1995, sulla tutela degli interessi finanziari della Comunità Europea, la Convenzione di Bruxelles del 26 maggio 1997, sulla lotta alla corruzione di funzionari pubblici sia della Comunità Europa sia dei singoli Stati Membri e la Convenzione OCSE del 17 dicembre 1997 sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche ed internazionali.
La disciplina introdotta dal D.Lgs. 231/2001 trova applicazione nei confronti degli enti forniti di personalità giuridica, società e associazioni anche prive di personalità giuridica.
Secondo quanto previsto dal Decreto, gli enti possono essere ritenuti “responsabili” per alcuni reati commessi o tentati nel loro interesse o a loro vantaggio, da parte di esponenti dei vertici aziendali (i c.d. soggetti “in posizione apicale” o, semplicemente, “apicali”) e di coloro che sono sottoposti alla direzione o vigilanza di questi ultimi (art. 5, comma 1, del D.Lgs. 231/2001)(2).
La responsabilità amministrativa delle Società è autonoma rispetto alla responsabilità penale della persona fisica che ha commesso il reato e, a determinate condizioni, si affianca a quest’ultima.
L’ampliamento di responsabilità introdotto con l’emanazione del D.Lgs. 231/2001 mira - sostanzialmente - a coinvolgere, nella punizione di determinati reati, il patrimonio delle società e, in ultima analisi, gli interessi economici dei soci, i quali, fino all’entrata in vigore del D.Lgs. 231/2001, non pativano dirette conseguenze dalla realizzazione di reati commessi, nell’interesse o a vantaggio della propria società.
Tuttavia, la responsabilità amministrativa è esclusa se l’ente ha, tra l’altro, adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione dei reati, un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo idoneo a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi.
Fattispecie di reato ai sensi del D.Lgs. 231/2001
In base al D.Lgs. 231/2001, l’ente può essere ritenuto responsabile soltanto per la commissione dei reati espressamente richiamati dal D.Lgs. 231/2001 o da altri provvedimenti normativi (ad es. art. 10 L. 146/2006 in tema di “Reati transnazionali”), se commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dai soggetti qualificati ex art. 5, comma 1, del Decreto stesso.(3)
Le fattispecie di reato richiamate dal D.Lgs. 231/2001 possono essere comprese, per comodità espositiva, nelle seguenti categorie:
- Reati contro la Pubblica Amministrazione ed il Patrimonio (art. 24 e 25 D.Lgs. n. 231);
- Delitti informatici e trattamento illecito di dati (Art. 24-bis, D.Lgs. n. 231/2001);
- Delitti di criminalità organizzata (Art. 24-ter, D.Lgs. n. 231/2001);
- Falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento (Art. 25-bis, D.Lgs. n. 231/2001);
- Delitti contro l’industria e il commercio (Art. 25-bis.1, D.Lgs. n. 231/2001);
- Reati societari (Art. 25-ter, D.Lgs. n. 231/2001);
- Reati con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico previsti dal codice penale e dalle leggi speciali (Art. 25-quater, D.Lgs. n. 231/2001);
- Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (Art. 25-quater.1, D.Lgs. n. 231/2001);
- Delitti contro la personalità individuale (Art. 25-quinquies, D.Lgs. n. 231/2001);
- Reati di abuso di mercato (Art. 25-sexies, D.Lgs. n. 231/2001);
- Reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro (Art. 25-septies, D.Lgs. n. 231/2001);
- Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio (Art. 25-octies, D.Lgs. n. 231/2001);
- Delitti in materia di strumenti di pagamento diversi dai contanti (art. 25-Octies.1 D.Lgs. n. 231/2001);
- Delitti in materia di violazione del diritto d’autore (Art. 25-novies, D.Lgs. n. 231/2001);
- Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’Autorità giudiziaria (Art. 25-decies, D.Lgs. n. 231/2001);
- Reati ambientali (Art. 25-undecies, D.Lgs. n. 231/2001);
- Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (Art. 25-duodecies, D.Lgs. n. 231/2001);
- Razzismo e xenofobia (art.25-terdecies, D. Lgs. n. 231/2001);
- Frode in competizioni sportive, esercizio abusivo di gioco o di scommessa e giochi d'azzardo esercitati a mezzo di apparecchi vietati (art.25-quaterdieces, D. Lgs. n. 231/2001);
- Reati tributari (art. 25-quinquiesdecies, D. Lgs. n. 231/2001);
- Reati di contrabbando (art. 25-sexiesdecies, D. Lgs. n. 231/2001);
- Reati contro il patrimonio culturale (art. 25- septiesdecies, D. Lgs. n. 231/2001);
- Riciclaggio di beni culturali e devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici (art. 25- duodevicies, D.Lgs n. 231/2001);
- Responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da Reato (Art. 12, L. n. 9/2013) [Costituiscono presupposto per gli enti che operano nell´ambito della filiera degli oli vergini di oliva].
La legge 16 marzo 2006, n. 146 recante “Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001”(4), entrata in vigore sul piano internazionale in data 1° settembre 2006, ha introdotto nell’ordinamento italiano la punibilità per i cosiddetti “Reati Transnazionali”. Si tratta di quei delitti di un certo rilievo, commessi da gruppi organizzati che, in considerazione del superamento dei confini nazionali nelle fasi di ideazione, preparazione, esecuzione, controllo o effetti, coinvolgano più Stati.
I Reati Transnazionali, seppur contenuti nella Legge 146/2006, costituiscono anch’essi reati presupposto della Responsabilità amministrativa degli enti definita dal D.Lgs. 231/01 e ai quali si applica la disciplina del Decreto.
Per una dettagliata descrizione delle tipologie di reati destinati a comportare il suddetto regime di responsabilità amministrativa a carico dell’ente, si rinvia all’allegato “Catalogo reati 231”.
Azioni da parte della Società che il Decreto considera esimenti dalla responsabilità amministrativa
L’articolo 6 del Decreto prevede una forma specifica di esimente dalla responsabilità amministrativa qualora l’ente dimostri che:
- l’organo dirigente abbia adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto illecito, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire la realizzazione delle fattispecie di reato previste dal Decreto;
- abbia affidato, ad un organo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, il compito di vigilare sul funzionamento e sull’efficace osservanza del modello organizzativo in questione, nonché di curarne l’aggiornamento;
- le persone che hanno commesso il reato abbiano eluso fraudolentemente il modello organizzativo;
- vi sia stato omesso od insufficiente controllo da parte dell’Organismo di Vigilanza di cui al punto 2 che precede.
Il Decreto prevede inoltre che i modelli di organizzazione e gestione debbano rispondere alle seguenti esigenze:
- individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi i reati;
- prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;
- individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee a impedire la commissione di tali reati;
- prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza del modello organizzativo;
- introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello organizzativo.
Lo stesso Decreto, inoltre, prevede che i “modelli di organizzazione e gestione” possano essere redatti sulla base di codici di comportamento redatti da associazioni rappresentative di categoria.
Apparato sanzionatorio
Gli artt. 9 - 23 del D.Lgs. n. 231/2001 prevedono a carico dell’ente, in conseguenza della commissione o tentata commissione dei reati sopra richiamati, le seguenti sanzioni:
- sanzione pecuniaria (e sequestro conservativo dei beni in sede cautelare);
- sanzioni interdittive (applicabili anche quali misure cautelari) di durata non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni5 (con la precisazione che, ai sensi dell’art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 231/2001, “Le sanzioni interdittive hanno ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l’illecito dell’ente”) che, a loro volta, possono consistere in:
- interdizione dall’esercizio dell’attività;
- sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
- divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
- esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli concessi;
- divieto di pubblicizzare beni o servizi;
- confisca dei beni (e sequestro preventivo in sede cautelare);
- pubblicazione della sentenza (in caso di applicazione di una sanzione interdittiva).
La sanzione pecuniaria viene determinata da parte del Giudice attraverso un sistema basato su “quote” in numero non inferiore a cento e non superiore a mille e di importo variabile fra un minimo di Euro 258,22 ad un massimo di Euro 1.549,37.
Nella commisurazione della sanzione pecuniaria il Giudice determina:
- il numero delle quote, in considerazione della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell’ente nonché dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti;
- l’importo della singola quota, in base alle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente.
Le sanzioni interdittive si applicano in relazione ai soli illeciti amministrativi per i quali siano espressamente previste e purché ricorra almeno una delle seguenti condizioni:
- l’ente ha tratto un profitto di rilevante entità dalla consumazione del reato e questo è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando, in tale ultimo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative;
- in caso di reiterazione degli illeciti.
Il Giudice determina il tipo e la durata della sanzione interdittiva tenendo in considerazione l’idoneità delle singole sanzioni a prevenire illeciti del tipo di quello commesso e, se necessario, può applicarle congiuntamente (art. 14, comma 1 e comma 3, D.Lgs. 231/2001).
Le sanzioni dell’interdizione dall’esercizio dell’attività, del divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione e di pubblicizzare beni o servizi possono essere applicate - nei casi più gravi - in via definitiva(6).
Inoltre, ai sensi e alle condizioni di cui all’art. 15 del D.Lgs. 231/2001(7), è possibile la prosecuzione dell’attività dell’ente (in luogo dell’irrogazione della sanzione) da parte di un commissario nominato dal Giudice ai sensi e alle condizioni di cui all’art. 15 del D.Lgs. n. 231/2001.
Reati commessi nella forma del tentativo
Nei casi in cui i delitti puniti ai sensi del D.Lgs. 231/2001 vengano commessi in forma tentata, le sanzioni pecuniarie (in termini di importo) e le sanzioni interdittive (in termini di durata) vengono ridotte da un terzo alla metà (artt. 12 e 26 D.Lgs. 231/2001).
L’art. 26 del D.Lgs. 231/2001 prevede che, qualora venga impedito volontariamente il compimento dell’azione o la realizzazione dell’evento, l’ente non incorre in alcuna responsabilità. In tal caso, infatti, l’esclusione della responsabilità e delle sanzioni conseguenti si giustifica in forza dell’interruzione di ogni rapporto di immedesimazione tra ente e soggetti che assumono di agire in suo nome e per suo conto.
Reati commessi all’estero
Ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 231/2001, l’ente può essere chiamato a rispondere in Italia in relazione a reati - contemplati dal Decreto - commessi all’estero(8).
I presupposti su cui si fonda la responsabilità dell’ente per reati commessi all’estero sono:
- il reato deve essere commesso da un soggetto funzionalmente legato all’ente, ai sensi dell’art. 5, comma 1, del D.Lgs. 231/2001;
- l’ente deve avere la propria sede principale nel territorio dello Stato italiano;
- l’ente può rispondere solo nei casi e alle condizioni previste dagli artt. 7, 8, 9, 10 c.p. (nei casi in cui la legge prevede che il colpevole - persona fisica - sia punito a richiesta del Ministro della Giustizia, si procede contro l’ente solo se la richiesta è formulata anche nei confronti dell’ente stesso) e, anche in ossequio al principio di legalità di cui all’art. 2 del D.Lgs. 231/2001, solo a fronte dei reati per i quali la sua responsabilità sia prevista da una disposizione legislativa ad hoc;
- sussistendo i casi e le condizioni di cui ai predetti articoli del codice penale, nei confronti dell’ente non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto.
Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo
Elemento caratteristico dell’apparato normativo dettato dal D.Lgs. 231/2001 è l’attribuzione di un valore esimente al Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo adottato dall’ente.
In caso di reato commesso da un soggetto in posizione apicale, infatti, la società non risponde se prova che (art. 6, comma 1, del D.Lgs. 231/2001):
- l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
- il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento è stato affidato ad un organismo della società dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
- le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
- non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di vigilanza.
Nel caso di reato commesso da soggetti apicali sussiste in capo all’ente una presunzione di responsabilità dovuta al fatto che tali soggetti esprimono e rappresentano la politica e, quindi, la volontà dell’ente stesso.
Per essere esente da responsabilità, l’ente dovrà, dunque, dimostrare la propria estraneità ai fatti contestati al soggetto apicale provando la sussistenza dei sopra elencati requisiti tra loro concorrenti e, di riflesso, la circostanza che la commissione del reato non deriva da una propria “colpa organizzativa”.
Nel caso, invece, di un reato commesso da soggetti sottoposti alla direzione o vigilanza di un apicale, la società risponde se la commissione del reato è stata resa possibile dalla violazione degli obblighi di direzione o vigilanza alla cui osservanza la società è tenuta.
In tal caso, dunque, si assisterà ad un’inversione dell’onere della prova. L’accusa sarà, pertanto, tenuta a provare la mancata adozione ed efficace attuazione di un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi.
L’art. 7, comma 4, del D.Lgs. 231/2001 definisce, inoltre, i requisiti dell’efficace attuazione dei modelli organizzativi:
- la verifica periodica e l’eventuale modifica del modello quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell’organizzazione e nell’attività;
- un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
I Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo adottati ai sensi del D. Lgs. 231/2001, in relazione all’estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, devono:
- individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
- prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni della società in relazione ai reati da prevenire;
- individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
- prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli;
- introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
Con riferimento ai reati in materia di salute e sicurezza sul lavoro, l’art. 30 del D. Lgs. 81/08 (cd. Testo Unico Sicurezza) prevede che il Modello di Organizzazione e Gestione deve essere adottato attuando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi:
- al rispetto degli standard tecnico - strutturali di legge relativi ad attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;
- alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;
- alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
- alle attività di sorveglianza sanitaria;
- alle attività di informazione e formazione dei lavoratori;
- alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;
- alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge;
- alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate.
Linee Guida per la Predisposizione dei Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo
L’art. 6, comma 3, del D.Lgs. 231/2001 prevede che “I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della Giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati”.
Nella predisposizione del presente Modello, la Società si è ispirata, alle Linee Guida di Confindustria emanate il 7 marzo 2002, parzialmente modificate il 31 marzo 2008 e da ultimo aggiornate il 23 luglio 2014, approvate da parte del Ministero della Giustizia.
In particolare, le Linee Guida elaborate da Confindustria suggeriscono di utilizzare, nella costruzione dei Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo, le attività di risk assessment e risk management, e prevedono le seguenti fasi:
- individuazione delle attività cd. sensibili, ossia quelle nel cui ambito possono essere commessi i reati, e dei relativi rischi;
- analisi del sistema di controllo esistente prima dell’adozione/aggiornamento del Modello Organizzativo;
- valutazione dei rischi residui, non coperti dai presidi di controllo precedenti;
- previsione di specifici protocolli diretti a prevenire i reati, al fine di adeguare il sistema di controllo preventivo.
L’eventuale scostamento da specifici punti delle Linee Guida utilizzate come riferimento non inficia, di per sé, la validità del Modello adottato dall’ente.
Il singolo Modello, infatti, dovendo essere redatto con riferimento alla realtà concreta dell’ente cui si riferisce, può discostarsi dalle Linee Guida (che, per loro natura, hanno carattere generale), per rispondere maggiormente alle esigenze di prevenzione proprie del Decreto.